Pattada Boiteddu Fogarizzu incisa da G. Abraini
<p>Boiteddu Fogarizzu, pattada da 10 cm di lama incisa da Gianni Abraini</p>
<p>lama in acciaio SEW400</p>
<p> A Pattada e nel mondo tutti lo chiamano Boiteddu. Insieme ai figli Gianmario e Tore da quasi cinquanta dei suoi 58 anni lavora nell’officina da fabbro ereditata da suo padre, Salvatore Fogarizzu, erede di suo nonno, Salvatore Fogarizzu. C’è però una bella differenza: suo babbo e suo nonno producevano i loro coltelli, le resolzas, quasi esclusivamentalmente per i pastori di Pattada, del Logudoro e del Goceano. Boiteddu è un artigiano (o un artista?) famoso in tutto il mondo. Ha vinto premi nazionali e internazionali, è stato celebrato dal New York Times , che in due pagine dedicate al cuore della Sardegna ha parlato di lui e dei Fogarizzu, pubblicando una foto di Gianmario al lavoro su uno dei coltelli col marchio di famiglia. Non solo. Tore ha messo su un sito Internet che si è rivelato utilissimo anche per il mercato. «L’articolo sul giornale di New York ha spinto a farsi vivi nostri amici e parenti, a partire da un mio cugino che sta in New Jersey», racconta Boiteddu, al lavoro in su fraile di famiglia di via Crispi, due passi dal centro di Pattada. «Il sito su Internet ha invece ampliato il numero di richieste, anche se la chiave del nostro lavoro è nel rapporto personale. I clienti arrivano qui, e ci ordinano questo o quel coltello». La gamma di prodotti è in realtà vastissima, con prezzi che partono dalle 400mila lire per arrivare sopra i 5 milioni per coltelli intarsiati da raffinati maestri incisori. Molto (ma non tutto) è cambiato rispetto a quel magico 1885 che vide Barore Fogarizzu mannu , il capostipite, esordire a 20 anni nel ruolo di frailalzu . Il fabbro era allora una figura centrale nell’economia agro-pastorale. Produceva coltelli, ma anche aratri, falci per la mietitura, forbici per la tosatura delle pecore, ferrava cavalli e buoi. Anche il figlio di Barore, che si chiama Barore pure lui, fa il fabbro. Nel 1927 apre il suo fraile in via Crispi, dove Boiteddu e i suoi figli Gianmario e Tore continuano a lavorare oggi. Non c’è più la forgia a mantice alimentata dal carbone di radici di erica, ma il lavoro del coltellinaio non è cambiato di molto. «Ognuno tenta di mettere del suo», spiega Boiteddu, ricordando ad esempio i suoi studi di decorazione a Firenze negli Anni Cinquanta. «Ma la base per realizzare una buona resolza - precisa - è sempre la stessa: la scelta dei materiali e la qualità della lavorazione. Insieme con i miei figli, ci sforziamo tuttavia di innovare e diversificare la gamma delle produzioni, ad esempio con lame in Damasco, senza trascurare i modelli originali che variano dalla classica resolza ai tradizionali foggia antica e Logudoro. Fondamentale è non cedere alla trasformazione dell’artigianato in catena di montaggio, e difendere la propria individualità. Noi puntiamo ad esempio su nuovi disegni, tutti in serie numerata o pezzi unici, realizzati con i migliori materiali reperibili sul mercato. Cerchiamo di mettere insieme la nostra creatività e le domande dei clienti sotto il segno della qualità». La storia della resolza si deve all’invenzione dei fratelli Mimmia e Giovanni Bellu, che, partendo da sa corrina un coltello fatto con un corno di capra o di montone a manico fisso, riuscirono a dare forma a uno dei coltelli italiani più belli in assoluto, la pattadese a serramanico. L’intuizione rivoluzionaria consisteva nella presenza di un anello metallico tra lama e manico con la conseguente divisione di quest’ultimo in due pezzi e l’uso di una lama più stretta “a foglia di mirto”. Il resto è storia attuale. Oggi Pattada è sinonimo di coltello e coltello per molti significa Pattada. E per tanti pattadesi significa Fogarizzu. Nel loro lavoro lame e materiali pregiati sono essenziali. E nel mercato globale si cercano dove si trovano. Scomparse (o quasi) dall’Isola le corna di muflone e anche quelle di montone, la materia prima viene acquistata nell’Est europeo. Sulla pattadese classica (manico in corna di muflone, collarino in ottone, acciaio al carbonio) Boiteddu ha sperimentato materiali nuovi, come radica e avorio. E anche i coltelli di altre regioni italiane sono entrati nella gamma delle sue produzioni: bergamasco, piemontese, senese hanno consentito a Boiteddu, Gianmario e Tore di ampliare la produzione classica. Rilevante anche la scelta, compiuta negli ultimi quindici anni, di realizzare le lame in damasco. Impiegato tradizionalmente per canne di armi da fuoco di particolare pregio, è un materiale ottenuto dalla fusione del ferro e dell’acciaio che dà vita a lame affilate e tenaci, capaci di sopportare urti e tensioni senza spezzarsi. Riesce cioè a evitare i difetti ad esempio dell’acciaio che, una volta temprato, diventa sì duro ma fragile mentre il ferro conferisce alla lama la caratteristica tenacia perché non perde la tempra. Grazie a studi e esperienze vissute in prima persona in Francia e Germania, oggi Boiteddu Fogarizzu è considerato uno dei migliori forgiatori di damasco. «Occorre -spiega- conservare il meglio di ciò che si è ma anche avere la capacità di allargare i propri confini». È questo è il segreto dei Fogarizzu, mantenersi fedeli alle tradizioni ma innovando, e tentando sempre di superarsi. Ieri Barore, oggi Boiteddu, domani Gianmario e Tore, già da anni protagonisti insieme al padre nella bottega di via Crispi, hanno l’orgoglio della loro bravura, ma la spinta a migliorarsi sempre più. «I nostri coltelli - hanno scritto di se stessi - sono fatti con quell’umiltà di chi confronta la propria opera con un ideale di irraggiungibile perfezione, al quale ci si può avvicinare solo con fatica e perseveranza. Ma senza mai fermarsi». C’è in queste parole tutta una filosofia di vita e di lavoro: l’orgoglio delle tradizioni, la capacità di essere fedeli al passato ma senza rinunciare all’innovazione. Un buon esempio da seguire per tanti artigiani (e non solo) di una Sardegna spesso incapace di valorizzare le sue risorse.</p>
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