Resolza Paolo Pinna Mamoiada
Resolza Paolo Pinna Mamoiada( NU)
lama in acciaio 440c lunga cm 10
lunghezza totale cm 23
anello in ALPACCA
impugnatura in montone
Nel video Paolo Pinna, durante la trasmissione porta a porta di alcuni anni fa consegna un suo coltello all'allora Presidente Francesco Cossiga
A Mamoiada Gli dissero tutti “tu sei matto”. Perché in questi tempi di disoccupazione un posto da infermiere non lo si lascia, perché uno stipendio ogni mese, pure se piccolo, è una fortuna. Paolo Pinna, 36 anni, però, una cosa l’aveva capita: un lavoro fisso non faceva per lui. Questione di carattere, di inclinazione, disse. Sicché, ascoltati tutti i consigli, ha mollato il servizio in ospedale e ha aperto un piccolo laboratorio artigiano dove crea coltelli, resolje, per meglio dire. «Ancora a livello di hobby. Prima di vendere le mie creazioni vorrei perfezionarmi ancora. Ma non ho dubbi: la mia è stata una scelta giusta, voglio fare il maestro di coltelli, l’artigiano».
Gli dissero tutti “tu sei matto”. E lui, diplomato infermiere nel ’94, sposato e padre di una bimba, tre anni fa lasciò pure l’appartamento di Nuoro e rientrò in paese. Una piccola casa nel rione Sa pratha manna e un garage vicino dove stanno stipate tutte le attrezzature, da coltellinaio antico. Praticamente l’unico, nel paese dove fino a vent’anni fa avevano bottega tziu Prospero Piras e tziu Busia che - oltre a forgiare i coltelli a serramanico - accudivano gli ottanta gioghi di buoi dei contadini soprattutto per forgiare sas pinnas, i caratteristici due spicchi di ferro per gli zoccoli degli animali. Ma un laboratorio artigiano come quelli di una volta. Oggi che i contadini di Mamoiada fanno un mestiere motorizzato, una ricerca di mercato direbbe: che disastro. «Ma è quello che voglio fare. E in ogni caso io lavoro soprattutto i coltelli». Che, esposti in vetrina, vengono ammirati (e desiderati) dai collezionisti più occhiuti. Paolo Pinna non lo dice, ma in paese ricordano tutti il sorriso estasiato del senatore Francesco Cossiga, grande intenditore peraltro, quando gli arrivò in dono una resolja mamoiadina. «Questo è un mestiere di cuore e di testa. Il mestiere ideale per uno di poche parole. Mi chiedono perché non ho voluto continuare a fare l’infermiere, come se avere un lavoro dipendente fosse chissà cosa. Ecco, io non lo credo. Un giorno mi sono detto: voglio continuare ad andare avanti così, forzando me stesso solo per arrivare a fine mese? Ho preferito lasciar stare anche perché per lavorare accanto ai malati occorrono molte parole, parole di conforto, allegre, e io sinceramente non riuscivo a dare tanto». Già, però una moglie, una bimba da mantenere. «Questo è un paese in cui si vive bene, senza spendere chissà quale cifra». Perché non ricominciare da una passione? Paolo Pinna è un autodidatta. Così, si arrangia da solo, fucina fuoco incudine e le affascinanti storie d’acciaio e di lame della civiltà araba. Se un imprinting lo ha avuto, forse è una questione di odori, di atmosfere. «Quella del laboratorio di un vecchio zio fabbro, a Pozzomaggiore, il paese di mio padre». Nel garage, che d’estate si riempie di turisti curiosi, una bacheca per i cimeli. C’è una spada del Seicento, sa daga si chiamava, impugnatura di corno di muflone e la lama spezzata. Paolo spiega con questa la differenza tra resolja e leppa. «La prima, più recente, era ed è ancora per i pastori, un coltello da lavoro. La seconda, arma più nobile, era lo spadino che i ragazzi avevano diritto di portare appena diventati adulti», sono le storie che piacciono, e che lui racconta mentre affila una lama.
Oggi, lui che diventa sempre più bravo, ce ne fosse uno che si azzarda a dargli del matto.
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